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#IoSonoMusica / Tiziana Canfori

La pianista e clavicembalista Tiziana Canfori, Direttore artistico musicale del Levanto Music Festival – Amfiteatrof, si esibirà al pianoforte il 19 Agosto con il soprano Mirella Di Vita e il pittore e grafico Simone Fareri nel concerto Franz Schubert: Winterreise

In collaborazione con MEMO Grandi Magazzini Culturali i musicisti rispondono al Levanto Music Festival – Amfiteatrof che si terrà dal 2 Luglio al 12 Settembre 2021.

In verità no, io non sono musica: sono il risultato di un corpo di una certa età, con dentro un cervello che ha imparato un po’ di cose. Mantengo ed elaboro memoria di molto che mi è successo e vivo tutte le mie emozioni, non solo musicali. La musica è un mio linguaggio, che ben esprime il mio modo di essere.

Come è entrata la musica nella sua vita?
Avevo circa otto anni, andavo bene a scuola, pattinavo sul ghiaccio, facevo danza; ho voluto provare anche il pianoforte, ma nessuno suonava in famiglia. Nella piccola scuola di musica genovese dove mi sono trovata, seguendo le esperienze di una compagna, si cominciava con la fisarmonica: quello fu in realtà il mio primo strumento.

Il primo incontro con il suo strumento.
Lo strumento del mio primo incontro era un verticale nero, alto, con quel profumo di legno e vecchie stoffe che solo i pianoforti di quel tipo conservano ancora. La tastiera era d’avorio, ma la ricordo ancora bella bianca e con i tasti alti e solidi. Vecchia scuola: cominciai posizionando le cinque dita di entrambe le mani, con qualche martelletto. Poi ricordo che mi venne insegnata subito una scala di do maggiore, compreso il mistero del passaggio del pollice. Finita la scala era già passata un’ora: l’ora più breve di tutta la mia vita. Ero già totalmente innamorata di quello strumento.

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Come racconta il rapporto anche fisico con la musica e gli strumenti che suona?
La musica è un’esperienza fisica, sempre. Lo strumento lo si ama con tutto il corpo, come una persona. Molti strumenti mi affascinano, ma tornerei sempre a scegliere le tastiere. Ho suonato sempre il pianoforte e il clavicembalo e mi affascina proprio la sfida che queste terribili “macchine da guerra” rappresentano per l’esecutore. Sono paradossi espressivi: bisogna prendere un grande ammasso di legno, metallo, viti, leve, martelli… e trovare il modo di esprimere le pieghe più profonde, sottili, nascoste e leggere del proprio modo di sentire. Bisogna saper lavorare con le suggestioni e bisogna cercare di trasferirle vive tutte le volte che si tocca un pianoforte diverso.

A volte penso che sia meraviglioso poter accarezzare corde, toccare legno, sentire la vibrazione fra le dita, ma non lascerei mai i miei strumenti per altri. Io amo dar vita e parola ai soggetti difficili.

Le esperienze musicali più belle. Da ricordare e raccontare.

La prima da ascoltatore. Sono in difficoltà. Ho avuto la fortuna di molte esperienze importanti. Ho ascoltato grandi interpreti. Non mi sottraggo però alla domanda ed evoco un ricordo che mi permette di raccontare quanto apprezzo quei momenti di fantasia e di magia che illuminano a sorpresa certe serate. Ricordo un concerto di Ruggero Gerlin, grande clavicembalista del passato e maestro dei miei maestri, che si tenne intorno al 1979 a Parigi, se non sbaglio nella chiesa di Saint-Gervais. Un vecchio leone di ottant’anni, una sala piena dei migliori cembalisti del momento (molti dei quali con idee ben più “moderne” del Maestro sul palco): mi aspettavo un concerto sapiente e celebrativo. Invece il vecchio Gerlin era vivace, arzillo, in vena di divertirsi come solo i più anziani riescono a fare. Ricordo un concerto pieno di grazia e di leggerezza e ricordo soprattutto il finale di una Sonata di Scarlatti: il vecchio Ruggero infila un passaggio pirotecnico che attraversa tutta la tastiera dal basso all’acuto e alla fine, sullo slancio delle mani, gli scappa un sorridente “olè!”. Mi sono subito resa conto che quello era un piccolo tassello di eternità che si posava nella mia vita.

La seconda da musicista. Anche qui mi vengono in mente diverse situazioni. Ci sono due tipi di esperienze che vorrei però distinguere. La prima è quella di fare parte di un’immensità collettiva, cioè di un brano enorme e meraviglioso che si condivide con molti altri: ho avuto la fortuna di suonare più volte le due grandi Passioni di Bach, esperienza che lascia trasfigurati. La seconda è molto più intima; la chiamerei “quando la perfezione ti viene a trovare” e scatta quando ti senti in grado di esprimere completamente, in perfetto equilibrio di corpo ed emozioni, di tecnica e di fantasia, quello che stai provando nel corso dell’esecuzione musicale. Avviene a volte per momenti molto piccoli, ma quando succede si prova una felicità intensa e un senso di pienezza che emoziona. E mi piace quando questi momenti preziosi capitano anche ai miei studenti (e soprattutto mi rallegra quando posso riconoscere che lo stato di grazia espressiva forse è nato da un mio suggerimento). In quei casi cito Baudelaire quando scrive che il più grande onore del poeta è quello di “accomplir juste ce qu’il a projeté de faire”. Da quella pillola di energia è più facile costruire tutto il resto.

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Il suo sogno (realizzabile) nel cassetto.
Vorrei continuare a suonare cose belle. Vorrei continuare a insegnare la musica che mi piace. Vorrei provare a costruire un ponte per i più giovani fra lo studio e il lavoro, considerando i molti nuovi mestieri della musica e soprattutto i molti e diversi modi di sentirsi musicisti.

A cosa serve la musica?

La musica serve a mettere in relazione perfetta cervello, corpo, cultura ed emozioni. A raccontare. A comunicare. A trovare il senso del silenzio. A spiegarsi.