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#IoSonoMusica / Enrico Baiano

Il clavicembalista Enrico Baiano si esibirà assieme alla violoncellista Catherine Jones nel concerto Si suona, a Napoli!

In collaborazione con MEMO Grandi Magazzini Culturali i musicisti rispondono al Levanto Music Festival – Amfiteatrof che si terrà dal 2 Luglio al 12 Settembre 2021.

Come è entrata la musica nella sua vita?
C’è sempre stata: i miei genitori non erano musicisti ma amavano la musica, e molto spesso c’erano dischi sul giradischi (altri tempi!), oppure la radio accesa. Così mia sorella maggiore, mio fratello minore ed io siamo cresciuti ascoltando Beethoven, Armstrong, Brahms, Gino Paoli, Rimskij-Korsakov, i canti degli Alpini, Ciajkovskij, Dixieland… c’era musica anche in televisione: a parte qualche concerto, le pubblicità erano spesso accompagnate da musica classica, e io, per esempio, a 6-7 anni avevo una passione per le danze dal Principe Igor di Borodin, che per me erano “la musica di Permaflex”! In casa poi c’era un vecchio pianoforte verticale, su cui noi bambini ci siamo divertiti moltissimo a giocare. In effetti mia sorella ha poi avuto un’importante carriera di cantante d’opera, e mio fratello ha un notevole talento musicale, pur non avendone fatto una professione.

Il primo incontro con il suo strumento.
Ho cominciato lo studio del pianoforte a 11 anni. Lo amavo e lo amo tuttora. Poco prima di compiere 16 anni la svolta: era estate, trascorrevamo le vacanze presso Gaeta, e frequentavamo i concerti domenicali dell’Associazione S. Giovanni a Mare. Una domenica c’era la famosa orchestra da camera ‘I Musici’ che eseguiva Vivaldi. Fui subito colpito dall’aspetto di questo strano strumento a tastiera, con due tastiere, i colori dei tasti invertiti, e ben cinque pedali… e la mia curiosità aumentò quando mi resi conto che durante l’esecuzione i tasti del manuale superiore si abbassavano magicamente da soli! Io sapevo che esisteva il clavicembalo, ma non ne avevo mai visto uno da vicino e friggevo dalla curiosità, perciò durante l’intervallo chiesi alla clavicembalista, Maria Teresa Garatti, di spiegarmi come ‘funzionava’, cosa che lei fece di buon grado, in maniera simpatica e stimolante (le sarò grato in eterno!). Oggi so che era uno di quegli strumenti industriali, antistorici e per molti versi deprecabili, ma in quel momento ero in visibilio, mi sembrava un’astronave, l’aggeggio più esotico che avevo mai visto, e pregai la signora di lasciarmi suonare qualcosa. E lei, con somma pazienza, mi diede appuntamento per dopo il concerto: arrivato il momento mi sedetti e, aiutato dai suoi suggerimenti, sperimentai il tocco, i ‘registri’, l’unione dei manuali, desiderando che quei cinque minuti non passassero mai. Ero esaltato da una duplice sensazione: da un lato mi sembrava che la meccanica dello strumento fosse un prolungamento delle mie dita, dall’altro mi sembrava che fosse lo strumento a suonare me, e che io non dovessi far altro che adagiarmi nella nicchia scavata appositamente per me, al resto pensava lui… fu un’autentica agnizione. In quel momento decisi, sarei stato… “clavicembalista”! Me lo ripetevo lentamente come una parola magica… “c l a v i c e m b a l i s t a”!

Come racconta il suo rapporto anche fisico con il violoncello?

Per me un brano musicale è un racconto, è un evento in divenire, è un tappeto magico che mi trasporta in un viaggio fantastico, e trasforma me e chi ascolta, anche se l’ho eseguito decine di volte.

L’insieme dell’evento sonoro (struttura formale, dati storici, estetici e stilistici, caratteristiche strumentali, armoniche, melodiche ecc.) non si esaurisce in sé stesso, ma mette in moto l’immaginario e l’inconscio di interprete e ascoltatore con associazioni e rimandi che coinvolgono tutte le possibilità espressive e comunicative umane, dando ulteriore spessore espressivo al testo. Un brano musicale è anche teatro, pittura, scultura, architettura, poesia. Mentre suono (o ascolto un’interpretazione che mi coinvolge) provo di volta in volta sensazioni emotive (preoccupazione, aspettativa gioiosa, insondabile malinconia, ironia, furore, celeste rassegnazione, spensieratezza, e sentimenti ancora più specifici, troppo lunghi da descrivere), fisiche (un pugno levato verso il cielo, a sfidare gli dèi, e subito dopo la sua ricaduta in basso per l’impossibilità di opporsi al Fato…), visive (“precipitanti sassi”, una struttura architettonica fantastica nello stile delle stampe di Piranesi…), e potrei continuare ancora per molto. Non potrei essere più lontano dall’affermazione di Stravinskij secondo il quale “la musica esprime solo sé stessa”: mi sembra inapplicabile perfino a gran parte della SUA musica, se penso alla storia e alle situazioni emotive che viviamo ad esempio in Petrushka! D’altronde mi sembra anche che una statua sia ben più di una scultura, una basilica sia ben più che un’architettura, un sonetto sia ben più che una poesia…

Le esperienze musicali più belle. Da ricordare e raccontare.

Da ascoltatore: la prima volta che ho ascoltato il quartetto n. 8 di Shostakovich. Non so cosa sia successo, c’è moltissima musica altrettanto bella, ma quella determinata sera, quel determinato ascolto rimangono per me un evento d’intensità raramente eguagliata. La compattezza formale, la chiarezza del discorso, l’intensità espressiva… il coinvolgimento e la concentrazione furono così profondi e totali che, dopo il concerto, ero in grado di ricordare a memoria una buona metà della musica. Il giorno dopo mi precipitai a comprare la partitura, e scoprii un’incredibile coincidenza: la prima esecuzione del quartetto si era tenuta la sera del 2 ottobre 1960, il giorno della mia nascita!

Da esecutore: un concerto alla Purcell Room, a Londra. Le premesse non potevano essere peggiori: avevo preso freddo e avevo un orecchio tappato. Prima del concerto la paura mi aveva impedito di deglutire anche un sorso d’acqua, e in più mi era capitato l’impossibile: in camerino, appoggiando la mano destra sul rivestimento di legno della parete, ero riuscito a infilarmi una scheggia di legno sotto l’unghia del pollice, naturalmente nella parte che avrebbe toccato il tasto! Mi faceva male, ma non avevo niente per estrarre la scheggia, e ormai era ora di andare… Mi avviai verso la sala pensando “vabbé, sarà una catastrofe, ma in un’ora sarà finita, non mi chiameranno mai più a Londra e fra un anno tutto sarà solo un cattivo ricordo”. Entrai in sala, salutai, e chiesi al pubblico di applaudire solo alla fine per gustare meglio il ‘racconto’ che avevo costruito, aggiungendo “…sempre che abbiate ancora voglia di applaudire, dopo…”. Ci fu una risata generale, e nel silenzio che seguì sentii qualcuno mormorare “…una richiesta difficile da rispettare”, e vidi un signore del pubblico sorridermi ed annuire. Gli sorrisi a mia volta e questo mi sbloccò completamente: cominciai a suonare per quella persona in particolare; anzi: cominciai ad ascoltare la musica che suonavo con le orecchie di quella persona. Ero nello stesso tempo completamente concentrato sull’esecuzione, ma anche distaccato da me stesso; mi godevo la bellezza dei pezzi e pregustavo il piacere che quell’ascoltatore avrebbe provato al quel tale o talaltro passaggio meraviglioso che stava per arrivare. Nel frattempo guardavo strabiliato me stesso eseguire i passaggi difficilissimi di alcune tra le sonate più spettacolari di Scarlatti con una tranquillità, una sicurezza e una perfezione incredibili (in genere sono uno che pasticcia abbastanza). Insomma, andò proprio bene! Peccato che questo concerto venne tenuto… il 9 settembre 2001: due giorni dopo ci fu l’11 settembre e fu impossibile conservare anche solo un minimo della contentezza e dell’esaltazione che avevo vissuto.

Comunque ho imparato che per godermi il concerto e dare il meglio che posso devo identificarmi in qualcuno del pubblico, suonare per lei/lui e godermi la musica come se fossi un qualsiasi ascoltatore.

Il suo sogno (realizzabile) nel cassetto.
Comunicare a quante più persone possibili ciò che ho imparato e ho capito della musica. L’insegnamento è fondamentale sia per le mia crescita che per mettere in condizione altre persone di proseguire sul cammino che ho intrapreso.

A cosa serve la musica?

“Non serve a niente, perché non è la serva di nessuno (Aristotele, sulla Filosofia). È parte dell’umano, elemento imprescindibile dell’immaginario, linfa vitale dello spirito. È ugualmente ozioso chiedersi a cosa serve un albero…”